Picture
 
                                   D’ANNUNZIO E LA QUESTIONE DI FIUME
                                          (Relazione di Marcello Bolpagni sulla lezione del Prof. Michele Colombo,  Szeged, 16/2/2011)

Il professor Colombo allega come materiale didattico attinente alla lezione due cartine etnografiche e un testo di Gabriele D’Annunzio, dal titolo «L’Orazion piccola in vista del Carnaro», datato 12 settembre 1919.

Prima di affrontare l’analisi del testo il professore introduce il contesto storico e traccia una sintesi della figura del letterato vate.

Le cartine (una delle quali proveniente da una mappa austriaca del 1910) indicano l’etnografia dell’Istria e del Golfo del Carnaro agli inizi del secolo scorso: in particolare Fiume (Rijeka in croato) dal 1779 fino al 1919 (data della fine dell’impero austro-ungarico) era considerata un punto strategico, con delle divisioni sociali molto nette al suo interno; infatti i governatori della città erano tradizionalmente ungheresi, il ceto affaristico italiano e quello operaio croato. Questa differenza di classe così netta portò giocoforza a delle tensioni, che superarono il livello di guardia soprattutto dopo il 1919, quando Fiume venne occupata da truppe di svariati paesi, e il suo destino si decise nell’assemblea di Parigi.

Gabriele D’Annunzio(1863-1938): romanziere e personaggio politico. All’epoca dei fatti di Fiume era già affermato sulla scena europea, grazie principalmente al romanzo «Il Piacere» (1889) e a «Le Laudi» (1903). Dal punto di vista della vita pubblica è sempre stato particolarmente attivo: eletto parlamentare con la destra, era passato rocambolescamente a sinistra. Si fece quindi inserire nei quadri dell’esercito italiano nella prima guerra mondiale, dimostrandosi un forte interventista.

In seguito tenne comizi a Roma sull’annessione di Fiume all’Italia, destando le attenzioni dei reduci di guerra rimasti senza lavoro.

Nel frattempo a Fiume iniziarono una serie di manifestazioni, e il 25 agosto 1919 il capo dei Granatieri di Sardegna venne allontanato dalla città: sette granatieri scrissero allora a D’Annunzio, pregandolo di intervenire. Fu così che il 12 settembre, alla testa di 2500 uomini e senza trovare opposizione alcuna, D’Annunzio marciò trionfalmente verso Fiume. Proclamò immediatamente l’annessione della città all’Italia, ma il governo italiano, imbarazzato, sconfessò D’Annunzio, mentre Mussolini, all’epoca ancora giornalista politico, avviò una sottoscrizione per finanziare il mantenimento di Fiume.

Come soluzione di compromesso, il governo si impegnò ad impedire che la città venisse annessa alla Jugoslavia, spingendo per l’indipendenza, ma il poeta combattente non accettava limitazioni di sorta. Tuttavia, il 15 dicembre del 1919, il consiglio di Fiume votò a favore dell’indipendenza, e a nulla valse il tentativo di D’Annunzio di indire un plebiscito per avvalorare la propria tesi.

Dopo aver tentato invano di resistere senza approvvigionamenti e aver inutilmente proclamato la “Reggenza italiana del Carnaro”, D’Annunzio deve arrendersi al fatto che Italia e Jugoslavia si sono accordate affinché Fiume diventi stato libero (12 novembre 1920). D’Annunzio però rifiuta il trattato, e gli eventi precipitano: le truppe italiane assediano la città con un massiccio bombardamento navale, costringendo il poeta e i suoi prodi alla capitolazione. Come mostrato da una fotografi allegata dal professore, il 18 gennaio 1921 D’Annunzio saluta il popolo e abbandona la città.

IL TESTO

«L’orazion piccola in vista del Carnaro» è la trasposizione scritta, sicuramente rimaneggiata, di un discorso realmente pronunciato davanti a 30 ufficiali prima di entrare a Fiume. Fu raccolta nell’ «Urna inesausta» (1931), che contiene tutti gli scritti del 1919, e posta in apertura della raccolta stessa.

Si procede ora ad un’analisi semantica e lessicale del testo:

I miei di Buccari (r.11): il comandante C.Ciano, con una trentina di uomini, era penetrato nella baia di Buccari, nel golfo del Carnaro, e con i sommergibili avevabuttato in acqua bottiglie contenenti messaggi di scherno per gli austriaci. Anche D’Annunzio era presente all’ “impresa” su uno dei motoscafi.

I miei di Vienna (r. 11): agosto 1918. Con 10 uomini D’Annunzio volò su Vienna e lanciò dei volantini minatori[1].

Pola e Cattaro (r.33): due città in cui erano posizionati i sottomarini austriaci.

Cantrìda (r.35): a Ovest di Fiume, dove era stato preparato lo sbarramento per fermare D’Annunzio.

Sette stelle dell’Orsa (r.32): stemma personale di D’Annunzio.

Compagno di fede e di violenza (r. 21): si parla di Benito Mussolini, i cui rapporti con D’Annunzio sono storicamente sotto il segno dell’ambiguità. Dopo un’iniziale comunione di intenti (vedi la sottoscrizione di cui sopra), D’Annunzio accusò Mussolini di non sostenere la sua impresa fino in fondo, regalandogli anche memorabili insulti. Tuttavia, al momento dell’uscita della raccolta nel 1931, il poeta scrisse subito al duce, paragonando post litteram la marcia su Fiume come antefatto della sciagurata marcia su Roma.

Veste linguistica del testo: l’epigrafe dantesca è stata aggiunta nel 1931, ed è fondamentale per comprendere la retorica dannunziana, che si nutre di miti retorici e letterari, come ad esempio il mito di Ulisse e quello di Roma antica[2], che era stato sviluppato ampiamente anche nel recente periodo romantico e risorgimentale, prima di essere ripreso e reinterpretato tristemente dal primo fascismo.

Più mai (r.3): costante nobilitazione del linguaggio.

Co’ (r.6) in luogo di coi.

Imaginarlo (r.10): latinismo.

Arme (r.7): altro arcaismo di facile richiamo letterario.

Manca (r.10): sinonimo per “sinistra”. Evidente l’intento di allitterazione paraetimologica con mano.

M’intendete ? (r.24): francesismo che suona come un’elevazione.

Giuriamoci. (r.34): verbo comune qui usato come riflessivo.

La barra (r.36): antico significato come “sbarramento”.

Magnetico (r.33): altro tecnicismo prezioso.

Siamo di fronte dunque ad un modo di parlare artificioso, elevato rispetto alla gente comune, che riflette chiaramente la personalità del poeta, e ci dice molto sul suo animo aristocratico e superomistico, ineluttabilmente immerso in una supervalutazione del sé come liberatore nobile dell’umanità e fautore del gesto artistico fine a se stesso.

Il registro linguistico suddetto è ravvisabile anche nei personaggi dei romanzi dannunziani, per cui la loro condizione ne giustifica il linguaggio.

La relazione del professor Colombo è stata particolarmente seguita e partecipata, e ha visto al suo termine accendersi una interessante discussione politico-letteraria sul personaggio di D’Annunzio. Si sono sottolineati molti aspetti controversi e si sono date diverse interpretazioni, da quella pasoliniana intransigente di chi vede nel vate soltanto un anticipatore della retorica mussoliniana a chi invece valuta il personaggio con più distacco.

Il dato certo è che si tratta di un personaggio che ancora oggi divide e fa discutere, e questo è un fatto da non sottovalutare.





Post Sciptum non petitum: Colgo l’occasione per sottolineare ancora una volta come l’esperienza di “Ponti 2011” sia stata per me motivo di gioia, interesse e, ora, di grande nostalgia. La consapevolezza dell’unicità e dell’irripetibilità del contesto mi fa oggi pensare di aver vissuto veramente dodici giorni pieni. Nelle sue peculiarità, ogni compagno di viaggio mi ha arricchito, ed è stato sicuramente utile confrontarsi con culture diverse da quella italiana, anche se lo stretto contatto e il caso, a volte, creano legami che diventano ardui da sciogliere. Ma questa è un’altra storia.

Un ringraziamento particolare ai professori Matyus Norbert e Gyorgy Domokos, persone di rara mitezza e disponibilità.

Viràgom viràgom.

[1] «D’Annunzio montò a cavallo, con fanatismo futurista / Quanta passione per gli aeroplani e per le bande legionarie.» (F.Battiato, Venezia Istanbul, 1980).

[2] Il dado è tratto (rr. 21-22) e Vien l’odor di Roma al cuore (r.26).