Come procedere con un manoscritto italiano?
(Riassunto della lezione di Alma Huszthy, Piliscsaba 12/02/2011)


          La relatrice mette a fuoco un testimone molto importante del volgarizzamento italiano, un testo del tredicesimo secolo, intitolato lo Specchio delle anime semplici, tradotto dall'antico francese in volgare italiano. La scelta di tale argomento si spiega innanzittutto con il fatto che il codice contenente il testo si trova proprio a Budapest, nella Biblioteca Nazionale Széchényi, così data la possibilità, la relatrice ha scelto tale mezzo per presentare all'uditorio le problematiche delle edizioni moderne (edizione critica ed edizione interpretativa) di un manoscritto antico, nonché le problematiche della lingua, infatti non si sa ancora che il testo suddetto a quale volgare italiano appartenga.

          Un filologo deve prendere in considerazione numerosi criteri durante l'esame di un manoscritto. Innanzittutto deve tener presente la differenza dell'ortografia e della pronuncia della lingua. La lingua parlata nella Penisola Italiana è stata sempre frammentata, solo la lingua dello scritto, il latino sembrava di rimanere più o meno unito. Un copista medievale, anche se scrive nella sua madrelingua, quindi in volgare, di genere lascia numerosi elementi latineggianti nel suo testo, nonché parecchi elementi dialettali.

          L'edizione italiana di un testo scritto in volgare deve contare con vari criteri, i quali riguardano soprattutto l'ammodernamento dei latinismi, come p. es. la presenza della h etimologica, che nelle edizioni italiane viene cancellata. Tali criteri prendono in considerazione la probabile pronuncia delle parole scritte in maniera latineggiante, così p. es. invece dei nessi consonantici -ct- o -pt-, per opera dell'ulteriore assimilazione regressiva, si scrive una doppia t. Altri criteri simili sono: la riduzione del nesso -ti- o -tj- in -zi-, la trasformazione della congiunzione et ad e, la riduzione della y in i, ecc.; mentre il raddoppiamento fonosintattico si conserva per il suo valore fonetico.

          Uno dei più importanti passi nell'esame del manoscritto è quello di poter collocare il testo geograficamente, dunque ricavare dagli elementi dialettali che il testo a quale volgare italiano appartiene. Il nostro caso è assai difficile dal momento che nel manoscritto appaiono sia delle caratteristiche settentrionali che meridionali, così sembra opportuno escludere alcune eventualità. Siccome il testo contiene degli elementi “antifiorentini”, come la mancanza del dittongamento nelle sillabe aperte – p. es.: dede, fore, figliola – possiamo affermare con certezza che non deriva dall'area dialettale toscana. Per l'abbondanza delle caratteristiche meridionali rispetto a quelle settentrionali possiamo legare il testo più al sud che al nord, ma proprio per la presenza dei segni che alludono al settentrione, possiamo escludere che il testo appartenga a un dialetto meridionale estremo. Le più vistose caratteristiche che possono evocare il sospetto di poter parlare di un dialetto settentrionale sono lo scempiamento di alcune consonanti doppie, p. es.: inamorata, legono, legere, atendete, tuti ecc.; nonché la pronuncia alveolare dell'occlusiva palatale sorda [t∫] dopo nasale, che si deduce dalla prima parola del testo: incomenza. Quest'ultima è tipica dell'Emilia-Romagna, mentre anche altre caratteristiche alludono a una fascia dell'Italia Centrale, p. es. la mancanza dell'innalzamento di alcune vocali medie: la [e] protonica in tanti casi non si chiude in [i], in opposizione a una gran parte dei dialetti, p. es.: de, rechissima, reducendolo, dechiarando, reservandose ecc.; similmente la [o] tonica non si chiude in [u], p. es.: ono, longa, adonque, ponto, odendo ecc. La mancanza della chiusura di tali vocali medie potrebbe errese ricondotta a una caratteristica  dei dialetti centro-meridionali. Qui però appare anche un'altra possibilità, quella di poter parlare di due fenomeni fonologici presenti piuttosto nei dialetti meridionali, soprattutto in Campania e in Puglia: il fenomeno della neutralizzazione di certe vocali atone in “schwa” e la metafonesi. Al fenomeno “schwa” si può pensare per l'occorrenza di parole come venerabele, possebele, in cui invece della i etimologica appare una e, che è il suono più vicino alla vocale media centrale “schwa”, infatti nei dialetti in cui si presenta tale fenomeno, le vocali colpite nello scritto sono sostituite da una e. Però possiamo subito escludere tale eventualità, dal momento che in altre parole proparossitone le ultime vocali non si trasformano in e, p. es.: prolago, proposito, singularissimo, participassoro ecc. Invece la mancata chiusura delle o in parole come longa, doe potrebbe essere il segno della metafonesi, in quanto le stesse parole  presentassero anche le varianti lungo e due. In questi casi la metafonesi marcherebbe le forme femminili con la mancanza della chiusura in u, p. es.: doe casione cfr. due santi. Però possiamo escludere anche questa possibilità per la presenza degli esempi seguenti:  ono, ponto, odendo, adonque ecc. La metafonesi tuttavia è presente in altre parole del testo, come: quilli, ruzi, docturi, nui, dicto (libro) ecc., per cui possiamo sostenere il sospetto che si tratti di un dialetto meridionale. Appaiono anche altri segni che alludono a una varietà linguistica del sud, p. es. l'assimilazione progressiva dei nessi nd in nn: venennose, partennose ecc. Tuttavia prendendo in considerazione le caratteristiche settentrionali summenzionate dobbiamo arrivare a un'area che tollera sia degli elementi dei dialetti del nord che quelli del sud, dunque alla zona delle Marche. Qui può essere presente lo scempiamento delle consonanti doppie, la pronuncia alveolare della [t∫], come nelle parole incomenza e comenzò; e anche la metafonesi non parlando delle altre caratteristiche meridionali.

          Dobbiamo considerare anche un altro fenomeno: quello dell'ipercorrettismo, che può mutare notevolmente il testo scritto rispetto alla variante parlata della lingua, p. es.: troviamo tirando invece di tiranno, o fando al posto di fanno, che allude al fatto che il copista fu consapevole dell'influenza del proprio dialetto nello scrivere, così per evitare degli eventuali errori ne ha fatto altri nella grande diligenza. Tale fatto invece può gettare in incertezza tante affermazioni che finora sembravano sicure, p. es.: forse lo scempiamento delle consonanti doppie succede per ipercorrettismo, cioè per evitare consapevolmente l'uso estremo delle consonanti doppie. Nel testo troviamo anche la parola sensa, che allude all'affricazione della s dopo le consonanti dentali – sempre una caratteristica meridionale –, nonché l'inversione del nesso -gn- in -gi- che può succedere sia per un fenomeno fonlogico probabilmente per influenza meridionale, sia per opera dell'ipercorrettismo, come p. es.: mangiare diventa magnare, vice versa troviamo i seguenti esempi: ingiorantia, ingiora, vergogia, repungiantia, sengioria ecc.         Tuttavia il testo in argomento, malgrado tali ultime considerazioni, presumibilmente appartiene a un dialetto centro-meridionale, con tanta probabilità deriva dalla zona delle Marche.

          La relatrice durante la sua relazione ha riassunto bene i principali procedimenti dell'edizione moderna di un manoscritto medievale, sottolineando innanzittutto gli aspetti linguistici del lavoro. Ha esposto bene le sue attitudini comunicative applicando bene la comunicazione prossemica, con gestualità moderata e mantenendo sempre il contatto visivo con l'uditorio, così è riuscita a trasmettere il messaggio della sua relazione.

Bálint Huszthy